Chi intende aprire un centro scommesse in Italia deve considerare attentamente il rapporto tra costi di avvio, spese di gestione e margini di guadagno. Il settore delle scommesse legali può offrire buone opportunità imprenditoriali, ma solo se affrontato con consapevolezza dei meccanismi economici che lo regolano. L’attività, infatti, non si basa sull’incasso delle puntate, ma su una percentuale della cosiddetta “raccolta” riconosciuta al punto vendita. Questo significa che il vero guadagno deriva da un margine tecnico stabilito dal contratto con il concessionario e non dal valore assoluto delle giocate.
Come si calcola il margine di guadagno
Un centro scommesse affiliato a un concessionario ADM non percepisce l’intera somma delle giocate, ma una quota del margine lordo del gioco, cioè la differenza tra quanto giocato dai clienti e quanto viene restituito in vincite. Questo margine, noto come payout negativo, è generalmente compreso tra il 10% e il 20% della raccolta totale, a seconda del prodotto (scommesse sportive, virtuali, ippica) e del comportamento dei giocatori.
A sua volta, il punto vendita riceve una percentuale di quel margine lordo, in base al contratto con il concessionario. In media, l’affiliato ottiene tra il 30% e il 40% del margine del concessionario. Per fare un esempio concreto: se un punto raccoglie 100.000 euro in un mese e il margine operativo lordo riconosciuto al concessionario è del 15%, il guadagno lordo di quest’ultimo sarà di 15.000 euro. Di questi, al punto vendita andrà una quota variabile, ad esempio 40%, pari a 6.000 euro.
Ovviamente, su questa cifra vanno poi calcolate le spese operative mensili: personale, affitto, utenze, canoni software e tecnici, eventuali commissioni bancarie e imposte. È ragionevole stimare che un punto scommesse medio, con una raccolta stabile, possa ottenere un utile netto mensile compreso tra 2.000 e 5.000 euro, a seconda del volume di gioco e della struttura dei costi.
Quanto investire per aprire un centro scommesse
Il capitale iniziale necessario dipende dalla forma con cui si decide di entrare nel mercato. In caso di affiliazione a un concessionario ADM, i costi sono generalmente più contenuti e si collocano in un intervallo tra 20.000 e 40.000 euro. Clicca qui per chiedere una consulenza mirata e definire con precisione i costi. Questa cifra comprende:
- eventuale fee di ingresso (tra 3.000 e 8.000 euro)
- arredamento e allestimento del punto (8.000–15.000 euro)
- hardware e software certificato ADM (5.000–10.000 euro)
- pratiche amministrative e consulenze (2.000–4.000 euro)
- fondo per gestione e marketing iniziale (2.000–3.000 euro)
Se invece si opta per una concessione diretta ADM, partecipando a un bando pubblico, i costi salgono in modo significativo. Il bando del 2018, ad esempio, prevedeva un contributo fisso di 32.000 euro per punto vendita, oltre a fideiussioni, infrastrutture informatiche e requisiti tecnici che portano l’investimento complessivo a superare facilmente i 100.000 euro.
A questi vanno aggiunti i costi di gestione mensile, che oscillano tra 3.000 e 7.000 euro a seconda della dimensione del punto e della localizzazione. Il personale rappresenta la voce più significativa, seguita da affitto, manutenzione dei sistemi, utenze, assicurazioni e commissioni.
Tempi di ritorno sull’investimento (ROI)
Il ritorno sull’investimento (ROI) dipende da vari fattori, tra cui il bacino d’utenza, la concorrenza sul territorio, la fidelizzazione dei clienti e l’efficacia della gestione. In media, un centro scommesse affiliato ben posizionato e con una raccolta mensile tra 80.000 e 120.000 euro può recuperare l’investimento iniziale in un periodo che va dai 12 ai 24 mesi.
Per una struttura con concessione diretta, i tempi di rientro si allungano e dipendono dalla capacità dell’imprenditore di generare volumi elevati di gioco e di aprire più punti. In questi casi, il break-even può essere raggiunto in 24–36 mesi, con margini operativi molto più ampi ma anche con una maggiore esposizione al rischio.
Considerazioni fiscali e sostenibilità
L’attività di centro scommesse è soggetta a una tassazione specifica, legata alla tipologia di gioco offerto. Le scommesse sportive, ad esempio, prevedono un prelievo fiscale del 20% sul margine (GGR), come stabilito dalla Legge di Bilancio 2019 (Legge n. 145/2018). Questo prelievo non è direttamente a carico dell’affiliato, ma incide sulla quota di margine distribuita e, quindi, sui guadagni finali. Il titolare del punto scommesse deve comunque tenere conto delle imposte sul reddito d’impresa, oltre a IVA e altri obblighi contributivi connessi all’attività commerciale.
In conclusione, se ben pianificata, un’attività di centro scommesse può garantire rendimenti interessanti e stabili. Tuttavia, si tratta di un investimento che richiede un’attenta valutazione economica, una gestione professionale e una conoscenza puntuale del quadro normativo e operativo in cui ci si muove. I margini sono reali, ma non immediati: come in ogni impresa, l’equilibrio tra costi e ricavi dipende dalla strategia adottata e dalla capacità di presidiare efficacemente il territorio.